Mercurio. Sì, o Menippo, e non viene da un luogo solo. Alcuni convengono in parlamento e si rallegrano della morte di Lampico, mentre la moglie è afferrata dalle donne ed i figlioletti sono accoppati co’ sassi dai fanciulli. Altri in Sicione lodano il retore Diofante che bela il panegirico di questo Cratone. E la madre di Damasia dolorosa comincia con le donne il piagnisteo sopra il figliuolo. Tu non se’ pianto da nessuno, o Menippo: ma te ne stai zitto e solo.
Menippo. Altro! or ora udirai che latrar di cani sovra di me, e che svolazzar di corvi, che verranno a seppellirmi.
Mercurio. Sei generoso, o Menippo. Ma già siamo arrivati: voi andatevene al tribunale, camminate diritti per questa via. Io e il nocchiero tragitteremo altri.
Menippo. Buon viaggio, o Mercurio. Avviamoci noi. A che restate? Volere o non volere, si dev’esser giudicati: e dicono che le pene sono gravi assai, ruote, avoltoi, pietre. A ciascuno sarà fatto strettissimo il conto della vita.
11.
Crate e Diogene.
Crate. Conoscevi, o Diogene, il ricco Mirico, quel gran ricco di Corinto, che aveva in mare molte navi mercantili; e il suo cugino Aristea, ricco anch’egli, il quale soleva ripetere quel detto di Omero: O tu levi me, o io te?
Diogene. E perchè, o Crate?
Crate. Si facevano carezze tra loro, ciascuno sperando l’eredità dell’altro, chè erano di una età: e pubblicarono i loro testamenti, nei quali, Mirico, se moriva prima di Aristea, gli lasciava tutto il suo; e così Aristea a Mirico, se trapassava prima. Quest’era lo scritto: e le carezze e i complimenti erano inestimabili.
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