Se vuoi versare in essi un po’ di sapienza, di franchezza, di verità, tosto cade e scorre, chè il fondo non può sostenerlo; e fai come le figliuole di Danao che versano acqua in una botte forata. L’oro poi coi denti, con le unghie, con ogni sforzo lo tenevano afferrato.
Crate. Dunque noi avremo anche qui la ricchezza nostra: ed essi porteranno qui solo un obolo, che pur lasceranno al navicellaio.(55)
12.
Alessandro, Annibale, Minosse e Scipione.
Alessandro. Io debbo essere preferito a te, o Libio; chè io sono migliore.
Annibale. No, io.
Alessandro. Dunque Minosse giudichi.
Minosse. Chi siete voi?
Alessandro. Questi è Annibale cartaginese, io Alessandro di Filippo.
Minosse. Gloriosi entrambi: ma di che contendete?
Alessandro. Del primato: costui dice d’essere stato miglior capitano di me: io, e tutto il mondo lo sa, affermo che in opere di guerra superai non pure lui, ma quasi tutti gli altri che furono prima di me.
Minosse. Ciascuno dica sue ragioni: comincia tu, o Libio.
Annibale. Questa sola utilità, o Minosse, io avrò tratta imparando qui a favellar greco, chè nemmeno in ciò costui avrà vantaggio sovra di me. Io dico che degni di gran lode son quelli che da prima essendo niente, giungono a grandezza dalla propria virtù sollevati e fatti meritevoli d’imperio. Io adunque lanciatomi con pochi nella Spagna; ed essendo primamente luogotenente di mio fratello, fui stimato degno di più gran cose, e giudicato primo fra tutti: e divenuto capitano vinsi i Celtiberi, domai i Galati d’occidente, e valicati altissimi monti, scorsi tutte le regioni intorno al Po, rovinai tante città, signoreggiai le pianure d’Italia, venni sino alle mura di Roma, ed in un sol dì uccisi tanti nemici, da misurarne gli anelli a staia, e far ponti su i fiumi coi loro cadaveri.
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