A me rimprovera la dissolutezza, ed ha dimenticato quel che egli fece in Capua, dove tra i sollazzi delle cortigiane questo mirabil capitano perdè le migliori occasioni di guerra. Io mi volsi all’oriente, non perchè credessi piccolo l’occidente, ma perchè, che avrei fatto di grande a prender l’Italia senza versar sangue, e soggettare la Libia, e tutto il paese sino a Gade? Non mi parvero degne di guerra quelle regioni già domate e soggette ad un padrone. Ho detto. Or giudica, o Minosse: Basti questo poco del molto che avrei potuto dirti.
Scipione. Non prima che avrai udito anche me.
Minosse. E chi se’ tu, o prode, e donde?
Scipione. Io sono l’italiano Scipione, capitano, vincitore di questo Cartaginese, e domatore della Libia in grandi battaglie.
Minosse. Che di’ tu adunque?
Scipione. Che io son minore di Alessandro, ma maggiore di Annibale, perchè io lo vinsi e lo costrinsi a fuggir vergognosamente. Come dunque costui non si vergogna di venire al paragone con Alessandro, al quale neppur io Scipione, che ho vinto lui, ardisco di paragonarmi?
Minosse. Tu parli con senno, o Scipione. Io giudico che Alessandro sia primo, tu dopo di lui, e, se vi pare, sia terzo Annibale, chè infine non è da spregiare.
13.
Diogene ed Alessandro.
Diogene. Come va, o Alessandro? sei morto anche tu, come tutti noi?
Alessandro. Tu il vedi, o Diogene: ma che maraviglia, s’ero uomo e son morto?
Diogene. Dunque Ammone era un bugiardo, dicendo che tu eri figliuol suo, e tu eri di Filippo.
Alessandro. Di Filippo certamente: non sarei morto, se fossi stato di Ammone.
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