Filippo. Ora, o Alessandro, non dirai più che non mi sei figliuolo: chè non saresti morto, se fossi nato d’Ammone.
Alessandro. Ben sapevo io, o padre, ch’io son figliuolo di Filippo di Aminta: ma mi valsi dell’oracolo, perchè lo credetti utile al fatto mio.
Filippo. Come dici? credesti utile di lasciarti ingannar dai profeti?
Alessandro. Questo no: ma i barbari mi riguardavano con istupore, e nessuno più mi resisteva, credendo di combattere contro un dio, e così li soggiogai facilmente.
Filippo. Ma quali prodi tu soggiogasti, se combattesti sempre con timidi omiciattoli, armati di archetti e di scudetti di vimini? Insignorirsi degli Elleni era valore, dei Beoti, de’ Focesi, degli Ateniesi; superare i fanti d’Arcadia, i cavalli Tessali, gli arcieri Eliesi, gli scudati di Mantinea, e i Traci, e gl’Illirii, ed i Peoni, questa era prodezza grande. I Medi, i Persi, i Caldei, uomini cascanti d’oro e di mollezza, ben ti ricorda, come furono sbaragliati, prima di te, da quei diecimila che si ritirarono con Clearco, e come non aspettaron neppure la mischia, e senza scagliare i dardi, spulezzarono.
Alessandro. Ma gli Sciti, o padre, e gli elefanti degl’Indiani non eran da pigliare a gabbo. E poi io non me ne feci signore seminando discordie, e comperando vittorie con tradimenti; non ispergiurai, non mentii alle promesse, nè commisi perfidie per vincere. Gli Elleni poi, li recai al mio potere senza versar sangue, e forse sai come punii i Tebani.
Filippo. So tutto; chè me lo narrò Clito, che da te fu trafitto di lancia ed ucciso in un convito perchè ardì di lodare le imprese mie più delle tue.
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