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      Ciò mi pesa, e duolmi di non vivere, anche facendo il garzone.
      Antiloco. E che ci vuoi fare, o Achille? La natura ordinò per tutti il morire: bisogna obbedirne le leggi, e non addolorarsi de’ suoi destinati. E poi vedi quanti tuoi amici siamo qui presso di te: tra breve ci verrà anche Ulisse per sempre. È gran conforto la comunanza della sventura. Vedi Ercole, Meleagro, e tanti altri mirabili uomini, i quali credo che non vorrebbero tornare in vita a patto che uno li facesse garzoni di poveri campagnuoli che non han da mangiare.
      Achille. Tu, come amico, vuoi consolarmi; ma io, non so come, mi addoloro quando mi ricordo della vita: e credo che così anche voi: e se dite di no, voi state peggio di me, perchè lo stesso patite, e nol dite.
      Antiloco. No, stiamo meglio, o Achille: perchè vediamo che il parlarne non giova. Abbiamo imparato tacere, sopportare, patire, affinchè non si rida anche di noi, come di te, per siffatti desiderii.
     
     
      16.
      Diogene ed Ercole.
     
      Diogene. Non è questi Ercole? È proprio desso; l’arco, la clava, la pelle del leone, la persona, tutto d’Ercole. Ed è morto egli figliuolo di Giove? Dimmi, o gran vincitore, se’ tu un morto? Io t’offeriva sagrifizi su la terra come ad un dio.
      Ercole. E bene li offerivi. Ercole sta in cielo tra gli Dei, ed è marito d’Ebe piè-leggiadra: io sono l’ombra sua.
      Diogene. Come dici? ombra del dio? Ed è possibile che uno sia metà iddio, e metà morto?
      Ercole. Sì: perchè non morì egli, ma io, immagine sua.
      Diogene. Capisco; in suo scambio egli diede te a Plutone, e tu ora sei morto in vece sua.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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