Diresti bene, o caro Anfitrioniade, se tu fossi corpo: ma tu ora sei ombra incorporea; onde tu corri pericolo di aver fatto tre Ercoli.
Ercole. Come tre?
Diogene. Ecco qui: uno è in cielo, tu ombra fra noi, e il corpo che già diventò polvere su l’Oeta. Ma bada di trovarti un terzo padre del corpo.
Ercole. Tu devi essere un audace sofista. Chi se’ tu?
Diogene. L’ombra di Diogene Sinopeo: che non abito fra gl’immortali Iddii, ma mi sto tra questi morti dabbene, e mi rido di queste fredde baie.
17.
Menippo e Tantalo.
Menippo. Perchè piangi, o Tantalo? perchè meni tante smanie stando presso al palude?
Tantalo. Perchè, o Menippo, i’ muoio di sete.
Menippo. E t’incresce tanto di curvarti per bere, o attignere col cavo della mano?
Tantalo. È indarno se mi curvo, chè l’acqua mi fugge come mi sente vicino: e se ne prendo una giumella e l’appresso alla bocca, non giungo a bagnarne l’estremità del labbro, chè scorremi tra le dita non so come, lasciandomi la mano asciutta.
Menippo. Strana pena è cotesta, o Tantalo. Ma dimmi, che bisogno hai tu di bere? Tu non hai corpo, ma sta sepolto in Lidia; quello poteva aver fame e sete: saresti tu uno spirito affamato ed assetato?
Tantalo. E in questo sta il tormento, che lo spirito ha sete come fosse corpo.
Menippo. Io lo crederò perchè lo dici tu che sei punito con la sete. Ma che hai tu a temere? forse di morire per manco di bevanda? Io non so che ci sia un altro inferno, nè che qui si muoia e si vada altrove.
Tantalo. Tu dici bene: ma questo è parte della pena, desiderar bere senza averne bisogno.
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