Pitagora. Salve anche tu, o Menippo.
Menippo. Hai più quella tua gamba d’oro?
Pitagora. No. Ma fammi vedere se hai cosa da mangiare nella bisaccia.
Menippo. Fave, o caro: non è cibo per te.
Pitagora. Dammele qui: tra’ morti altre dottrine. Ho imparato che qui non han che fare le fave con le teste dei genitori.(58)
Eaco. Questi è Solone di Esecestide, e quegli è Talete, con loro è Pittaco, e gli altri: son tutti e sette, come vedi.
Menippo. Sereni e lieti son questi soli fra tutti, o Eaco. E colui, che è tutto pieno di cenere, come focaccia cotta sotto la bragia, ed è tutto fiorito di scottature, chi è?
Eaco. È Empedocle, che ci è venuto così mezzo abbrustolato dall’Etna.
Menippo. O valentuomo col piè di bronzo, e perchè ti gettasti nel cratere del fuoco?
Empedocle. Per una malinconia, o Menippo.
Menippo. No, per Giove: ma per una pazzia, una vanagloria, una stoltezza grande: queste fecer carbone di te e delle scarpette, e meritamente. Ma ti facesti il conto senza l’oste: fosti veduto quando morivi. E Socrate, o Eaco, dov’è?
Eaco. Suole piacevoleggiare con Nestore e Palamede.
Menippo. Vorrei vederlo, se è qui.
Eaco. Vedi quel calvo?
Menippo. Tutti son calvi: questo segno non distingue nessuno.
Eaco. Quel nasetto dico.
Menippo. E torni? qui non ci ha nasi affatto.
Socrate. Cerchi me, o Menippo?
Menippo. Sì, o Socrate.
Socrate. Che nuove d’Atene?
Menippo. Molti de’ giovani dicono di filosofare: e a riguardar le vesti e l’andare ei ci sarien di gran filosofi assai.
Socrate. Assai di questi io ne vidi.
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