Menippo. Vedesti, pensomi, come ti sono venuti qui Aristippo tutto spirante odore d’unguento, e Platone ammaestrato in Sicilia a carezzar tiranni.
Socrate. E di me che pensano?
Menippo. Per questo tu sei il più fortunato uomo del mondo. Tutti credono che tu fosti un miracolo d’uomo, che sapevi tutte le cose, quando (ora si può dire la verità, credo) tu non sapevi niente.
Socrate. Io lo dicevo questo a tutti: e quei credevano ch’io lo dicessi per ironia.
Menippo. Chi son cotestoro che hai vicino?
Socrate. Carmide, Fedro, ed il figliuolo di Clinia.
Menippo. Bene, o Socrate: anche qui con l’arte tua, anche qui sei tra be’ garzoni.
Socrate. E che potrei fare di più piacevole? Ma adágiati vicino a noi, se ti aggrada.
Menippo. Io men vo da Creso e da Sardanapalo, per allogarmi vicino ad essi. Io soglio farmi le più grosse risa quando gli odo piangere.
Eaco. Ed anch’io me ne vado: se no qualcuno di voi altri morti se ne scappa. Un’altra volta vedrai il resto, o Menippo.
Menippo. Vattene, o Eaco: chè questo mi basta.
21.
Menippo e Cerbero.
Menippo. O Cerbero, io son della tua razza, perchè son cane anch’io: dimmi, per Stige, qual ti parve Socrate quando discese tra voi. Tu, come Dio, devi saper non pure latrare, ma parlare ancora a guisa umana, quando vuoi.
Cerbero. Da lontano, o Menippo, a tutti parve ch’egli ci venisse con intrepido volto, e che andasse egli incontro alla morte: belle lustre per parer valente a quelli che sono di là dalla buca. Ma come s’affacciò alla voragine, e vide il buio dell’orco, e mentre si stava peritoso, io lo addentai ad un piede e il trassi giù; si mise a piangere come un fanciullo, chiamava figliuoli, e pareva un altro.
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