Filonide. Basti di questo. Che è il decreto che da prima mi dicevi fatto contro i ricchi?
Menippo. Hai fatto bene a ricordarmene. Volevo parlarti di questo, e non so come mi si è tanto svagato il discorso. Mentre io ero laggiù, i Pritani intimarono un’adunanza per affari di utilità comune. Vedendo concorrervi molti, mi mescolai tra i morti, ed andai nell’adunanza. Furono trattate varie faccende, infine anche questa dei ricchi. Erano questi accusati di molte e gravi colpe, di violenza, di arroganza, di superbia, d’ingiustizia: onde si levò un capopopolo, e lesse questo decreto: Decreto. «Attesochè i ricchi commettono molto ingiustizie nella vita con le rapine, le prepotenze, ed ogni maniera di dispregi verso i poveri, il Senato ed il Popolo decreta che quando essi muoiono, i corpi loro patiscano pena come gli altri malvagi, ma le anime ritornino su ed entrino in corpo agli asini, e vi staranno per dugento cinquantamila anni, nascendo asini da asini, portando pesi, ed essendo menati e picchiati dai poveri: dopo questo termine potranno morire.» Disse questo parere Cranio figliuolo di Scheletrino, della città Defuntana, della tribù dei Morticini. Letto questo decreto, i magistrati diedero il loro voto, il popolo levò le mani e l’approvò, Ecate ululò, Cerbero abbaiò, e così rimase rato e fermo. Ed eccoti ciò che fu stabilito nel parlamento. Ora io mi avvicinai a Tiresia, essendo disceso a posta per questo, e, narratogli ogni cosa, strettamente lo pregai di dirmi quale egli credeva la miglior vita.
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