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      Caronte. Avevo gran voglia, o Mercurio, di vedere che c’è nella vita, che vi fanno gli uomini, e che piangono d’aver perduto quando discendon tra noi; chè nessuno trapassa senza pianto. Però anch’io, come il giovane tessalo,(64 ho chiesto a Plutone licenza di lasciare la barca per un sol dì, e son venuto alla luce del sole. Ora t’ho incontrato proprio a punto; chè io ci son nuovo, e spero che tu mi guiderai e mostrerai ogni cosa, chè ci sei pratico.
      Mercurio. Non ho tempo, o barcaiuolo mio: vado per una faccenda commessami lassù da Giove per la terra. Egli è collerico, e temo, se io ritardo, che ei non mi dia il castigo di rimaner sempre tra voi al buio, o non mi faccia il giuoco che già fece a Vulcano, mi pigli per un piè e mi getti giù dalle case celesti, sicchè zoppicando farei anch’io ridere gli Dei servendoli da coppiere.(65
      Caronte. Ed avrai cuore di vedermi errare alla ventura su la terra, tu che mi sei amico e compagno, e tragittiamo insieme le anime? Eppure, o figliuolo di Maia, dovresti ricordarti che io non t’ho fatto mai nè aggottare nè vogare; che tu ti sdrai su la coperta, e russi, quantunque abbi un bel paio di spalle; o se trovi qualche morto chiacchierino, te la chiacchieri per tutta la traversata; ed io, tutto che vecchio, co’ due remi in mano, i’ vogo io solo. Deh, per quanto ami tuo padre, o Mercurietto mio, non mi lasciare; mostrami quel che si fa nella vita, non farmene tornar con le pive nel sacco senza aver niente veduto. Se tu m’abbandoni io sarò come un orbo, che al buio e senza guida, inciampa ad ogni passo: così la luce mi abbaglia.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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