E per qual cagione uomini sapienti direbbono una bugia? Via, facciamo un po’ di leva a monte Ossa prima, come ci dicon le parole del nostro architetto Omero:
E poni Ossa sul Pelio frondoso.
Vedi come riusciam nell’opera facilmente e poeticamente? Ora vi salgo, per vedere se basta così, o se dobbiamo sovrapporvi altro. Bah! siamo ancor giù appiè del cielo; a levante appena pare la Jonia e la Lidia; a ponente non più che l’Italia e la Sicilia; a settentrione le sole contrade sino all’Istro; e a mezzodì, Creta pare e non pare. Dobbiam trasportarvi, o barcaiuolo, anche l’Oeta, e forse anche il Parnaso.
Caronte. Sia pure: ma bada che la macchina non sia troppo fragile, alzandola ad un’altezza smisurata; e che noi cadendo con essa non facciamo cattiva pruova dell’architettura d’Omero, rompendoci il capo.
Mercurio. Non temere: tutto sarà saldissimo. Trasportiamo l’Oeta, rotoliamo il Parnaso. Ecco, io risalgo: ora va bene: vedo tutto; sali anche tu.
Caronte. Stendimi la mano; non è poco per me salire su questa gran macchina.
Mercurio. Tu volevi vedere il mondo, o Caronte: ma non si può tutto vedere, e niente patire. Tienti fermo alla mia mano, e bada di non mettere il piè su qualche sdrucciolo. Oh, se’ sopra anche tu: e giacchè il Parnaso ha due cime, sediamo tu sovra una, io sovra un’altra. Or gira gli occhi intorno, e mira ogni cosa.
Caronte. I’ vedo molta terra, e un gran lago che la circonda, e montagne, e fiumi maggiori di Cocito e di Piriflegetonte, e gli uomini molto piccoli, e certe loro topaie.
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