Caronte. E Creso dov’è?
Mercurio. Riguarda lì, in quella gran fortezza di triplice muraglia, quella è Sardi: e ve’ Creso sdraiato sovra un letto d’oro, che ragiona con l’ateniese Solone. Vuoi udire che dicono?
Caronte. Oh, sì.
Creso. «O forestiero ateniese, tu hai veduto le ricchezze che io ho, e i tesori, e il vasellame d’oro, e tutte l’altre grandezze mie: or dimmi, chi credi tu che sia il più felice tra gli uomini?»
Caronte. Che risponderà Solone?
Mercurio. Non dubitare: risponderà nobilmente.
Solone. «O Creso, ben pochi sono i felici; io, fra quanti ne so, stimo che furono felicissimi Cleobi e Bitone, i figliuoli della sacerdotessa d’Argo.»
Mercurio. Parla di quei due giovani morti ultimamente, poi che si aggiogarono sotto il cocchio della madre, e la trassero sino al tempio.
Creso. «Bene: abbiano questi la prima felicità: chi sarà secondo?»
Solone. «Tello ateniese, che visse puro, e morì per la patria.»
Creso. «Ed io, o insolente, io non ti sembro felice?»
Solone. «Non lo so ancora, o Creso, se non giungi al fine della vita, perchè la sola morte ci può far giudicare se uno è vissuto felice sino al suo termine.»
Caronte. Bravissimo, o Solone, che non ti se’ dimenticato di noi, e credi che solo presso alla mia barca si debba giudicare di questo. Ma quei messi, dove li manda Creso? e che portano su le spalle?
Mercurio. Son mattoni d’oro che ei manda in dono ad Apollo Pitio, per certi oracoli che tra breve lo rovineranno: egli è pazzo degli oracoli.
Caronte. Oh, quello è l’oro, che splende, che luccica, che ha quel color giallo ardente?
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