Vedi pure quel giovanetto figliuolo di Ciro? Egli è Cambise, che regnerà dopo suo padre, e disfatto molte volte ed errante in Libia e in Etiopia, infine morirà pazzo, dopo di avere ucciso il dio Api.
Caronte. Oh, davvero è da ridere! Ed ora chi ardiria di guardar pure in viso a costoro che si tengono tanto superiori agli altri? chi crederia che tra poco uno sarà prigione, e un altro avrà il capo in un otre di sangue? E chi è colui, o Mercurio, che va vestito di porpora e cinto del diadema, ed a cui il cuoco restituisce l’anello trovato in corpo ad un pesce? Oh, anche egli D’un isola signor, tra i re s’imbranca?
Mercurio. Hai fatta una bella parodia, o Caronte. Tu vedi Policrate tiranno di Samo, che ora si tiene beatissimo: ma anche costui dal suo furbo servitore Meandro sarà dato in mano il Satrapo Oreta, che lo farà crocifiggere: e così in un attimo, da questa felicità piomberà nell’ultima miseria. Anche questo l’ho udito da Cloto.
Caronte. Bene, o Cloto, da brava: crocifiggili, troncane le teste, acciocchè veggano che sono uomini: ma fa’ che s’innalzino molto, affinchè caschino da più alto con più dolore. Io poi riderò allora squadrandoli ad uno ad uno nudi nel battello, senza porpora, senza tiara, senza letto d’oro.
Mercurio. E questo è il fine di costoro. Guarda ora la moltitudine, o Caronte: chi naviga, chi guerreggia, chi litiga, chi coltiva la terra, chi presta ad usura, chi accatta.
Caronte. Io vedo un diverso affaccendarsi e un affannarsi grande: le città come alveari; ciascuno v’ha il suo pungiglione, e punge chi gli sta vicino: pochi, come vespe, menano e rubano i più deboli.
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