Mercurio. E questo è il mondo. Ma discendiamo ora, e riponiamo le montagne ai luoghi loro, e torniamo io per la mia commissione, tu alla barca. Tosto ci rivedremo, e ti menerò i morti.
Caronte. Tu m’hai fatto un gran bene, o Mercurio, ed io me lo scriverò nel cuore: per te ho cavato qualche frutto da questa mia peregrinazione. O poveri uomini, e di questo v’occupate voi? Re, mattoni d’oro, ecatombe, battaglie; e a Caronte non pensa nessuno.
XIII.
DEI SACRIFIZI.
A considerare ciò che fanno gli sciocchi nei sacrifizi, nelle feste, e nelle pubbliche solennità; quali preghiere e quali voti fanno, e che concetto hanno degli Dei, io non so se si trovi uomo, per tristo e maninconioso che sia, a cui non venga voglia di ridere di tali scempiezze. Ma prima di riderne, forse saria bene ricercare se si deve chiamar religiosi, o per contrario nemici degli Dei questi sciagurati che si formarono sì bassa e vile idea della Divinità, da credere che essa abbia bisogno degli uomini, che si compiaccia d’essere adulata, e si sdegni se è trascurata. I guai dei poveri Etoli, le calamità dei Calcedoni, tante morti, ed il disfacimento di Meleagro, tutto fu opera, dicono essi, di Diana corrucciata contro Oineo, che non l’aveva invitata ad un sacrifizio. Sì profondamente fitto nel cuore della Dea stava l’oltraggio di non avere avuto una vittima. E già mi pare di vederla in cielo tutta sola, essendo già andati gli altri Dei in casa d’Oineo, rodersi d’ira e di sdegno per non essere a così gran festa. Ma gli Etiopi, essi dicono, sono beati e felicissimi, perchè Giove si sdebita con loro di quel gran banchetto che gli fecero nel principio del poema d’Omero, quando per dodici giorni continui diedero mangiare a lui ed agli altri Dei che si menò appresso.
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