Sicchè pare che gli Dei non faccian niente per niente, ma vendano agli uomini i beni, e che si possa comperare da essi lo star sano, per un giovenco; l’arricchire, per quattro buoi; il regnare, per un’ecatombe; il tornar salvo da Ilio a Pilo, per nove tori; lo scioglier d’Aulide per Ilio, per una vergine reale. Ed Ecuba una volta non fece prendere Troia pagando a Alinerva dodici buoi ed un peplo. Si dee credere che essi tengano in serbo molte altre coserelle, le quali si possono comperare con un gallo, una ghirlanda, o un po’ d’incenso. Coteste cose, pensomi, ben le sapeva Crise, vecchio sacerdote e gran dottore in divinità, il quale tornandosi da Agamennone con le trombe nel sacco, si volge ad Apollo, e con l’ardire di un creditore gli ridomanda ciò che gli ha dato, e per poco non gli dice villania: O fortissimo Apollo, gli dice, io ti ho adornato di corone il tempio, che da tanto tempo nessuno più l’adornava; io ti ho bruciate sovra l’ara tante belle cosce di tori e di capre, e tu non ti curi di quest’oltraggio che m’è fatto, e non vendichi il tuo benefattore? E con questo rabuffo fecelo vergognare tanto, che il Dio, dato di piglio all’arco e disceso su le navi, saettò la peste tra gli Achei, e su i poveri muli e su i cani. Ma poichè ho ricordato d’Apollo, vo’ dire anche un’altra cosa che i saccenti narrano di lui; non le sue sventure in amore, la morte di Jacinto, e il disprezzo di Dafne, ma come fu condannato per la uccisione dei Ciclopi; e però bandito con ostracismo dal cielo, mandato giù su la terra, e ridotto alla condizione di povero omicciattolo, si acconciò per garzone con Admeto in Tessaglia, e con Laomedonte in Frigia.
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