E non egli solo, ma Nettuno ancora, ed entrambi per bisogno si messero a fare i fornaciai, e fabbricare le mura di Troia: e neppure tutta la mercede pattuita ebbero da quel Frigio, ed è fama che avanzino ancora più di trenta dramme troiane.
Oh, queste cose non le dicono con la maggiore gravità del mondo i poeti, e più divine di queste intorno a Vulcano, a Prometeo, a Saturno, a Rea, e a quasi tutta la casa di Giove? E non invocano essi le Muse nel principio dei loro poemi? Dalle quali ispirati, come si dee credere, contano che Saturno poi ch’ebbe castrato suo padre Urano, s’impadronì della signoria del mondo, e divorava i figliuoli, come l’argivo Tieste: che Giove nascosto da Rea, che pose una pietra in cambio del bambino, ed esposto in Creta, fu nutrito da una capra, come Telefo da una cerva, o l’antico Ciro persiano da una cagna: che poi, cacciato il padre, e gettatolo in carcere, diventò egli re, sposò molte femmine, e infine Giunone sua sorella, seguendo in questo le usanze dei Persi e degli Assiri. Ma essendo portatissimo all’amore e gran femminiere, tosto riempì il cielo di figliuoli, alcuni procreati con le celesti sue pari, ed altri bastardi con le donne mortali, per le quali egli diventò ed oro, e toro, e cigno, ed aquila, e prese più forme dello stesso Proteo. La sola Minerva egli partorì del suo proprio capo, avendola a caso concepita nel suo cervello. E dicono, che ei trasse Bacco mezzo formato dal ventre della madre percossa dal fulmine, e se lo chiuse in una coscia, e lo portò, e infine si fece un taglio quando sentì i dolori del parto.
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