Ma un altro Api è tratto dalla mandra, e diviene dio invece del morto: è scelto il più bello ed il più grave d’aspetto fra tutti i buoi suoi pari.
Tutte queste sciocche superstizioni credute dal volgo non hanno bisogno di chi le biasimi; ma, a creder mio, o di un Democrito che rida, o di un Eraclito che pianga della stoltezza degli uomini.
XIV.
UNA VENDITA DI VITE ALL’INCANTO.
Giove. Tu, disponi gli scanni e prepara il luogo agli avventori: tu presenterai ad una ad una le vite che abbiamo a vendere; ma ripuliscile prima, affinchè abbiano buona apparenza ed attirino gente assai. E tu, o Mercurio, fa’ il bando, e chiama col buono augurio i compratori ad entrare in bottega. Per ora metteremo all’incanto queste vite qui, questi filosofi d’ogni specie e d’ogni setta. Chi non ha contanti da sborsare subito, darà mallevadoria, e pagherà l’anno venturo.
Mercurio. È già venuta la folla: bisogna sbrigarci, e non indugiarla.
Giove. Dunque vendiamo.
Mercurio. Chi vuoi che esponiamo prima?
Giove. Quel Giono dai lunghi capelli, che m’ha un venerabile aspetto.
Mercurio. Ehi tu, o Pitagora, vieni innanzi, e fatti vedere da questa gente.
Giove. Da’ il bando.
Mercurio. Io vendo la vita ottima, la vita santa: chi la compera? chi vuol essere più che uomo? chi vuol conoscere l’armonia dell’universo, e dopo che è morto risuscitare?
Compratore. Non m’ha cattiva cera: che sa bene egli?
Mercurio. Aritmetica, astronomia, magia, geometria, musica, furfanteria: tu vedi un valentissimo strologo.
Compratore. È lecito d’interrogarlo?
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