Dimmi tu, o Mercurio, l’abilità sua, ed in che è versato.
Mercurio. È buon compagnone, trincatore valente, balla a suon di flauto nei conviti; e varria tant’oro per un padrone perduto d’amori e di lascivie: e poi sa la scienza dei savori e delle delicature, l’arte di fare i dolci migliori, ed è il più compiuto maestro delle voluttà. Allevato in Atene, fu servo de’ tiranni in Sicilia, ai quali piacque assai. Il principio della sua setta è sprezzare tutto, godere di tutto, raccoglier la voluttà da ogni cosa.
Compratore. Adocchia qualcuno di questi ricchi e sfarzosi, chè non fa per me comperare una vita voluttuosa.
Mercurio. Pare, o Giove, che costui non abbia compratori, e rimane a noi.
Giove. Menalo dentro, e fa che esca un altro: no, è meglio quei due, quel baione di Abdera, e quel piagnone d’Efeso. Gli voglio vendere a paio.
Mercurio. Venite in mezzo tuttaddue. Vendo un paio di vite inestimabili, un paio di sapienti perfetti.
Compratore. O Giove! che contrasto! Questi non finisce di ridere, e quegli par che pianga qualcuno. Oh, ei piange davvero. E tu, che vuol dir questo? Perchè ridi?
Democrito. Mel dimandi? perchè mi par tutto ridicolo, le opere vostre, e voi stessi.
Compratore. Come dici? Ti ridi di tutti noi, e tieni per niente le opere nostre?
Democrito. Così è: non c’è niente di serio in esse: tutto è vuoto, concorso di atomi, immensità.
Compratore. Vuoto se’ tu, e immensamente sciocco. Oh, mi dài la baia, e non cessi di ridere? E tu perchè piangi, o caro? Credo che con te potrò parlare.
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