Socrate. In nessuna parte: perchè se esistessero in qualche luogo, non sarebbero.
Compratore. Ma io non vedo cotesti esemplari, che tu di’.
Socrate. E non puoi, perchè sei cieco degli occhi dell’anima. Ma io vedo le immagini di tutte le cose, un te invisibile, ed un altro me: insomma tutto a doppio.
Compratore. Quand’è così meriti d’esser comperato, perchè se’ savio, ed hai vista acuta. Dimmi tu, quanto vuoi di costui?
Mercurio. Dammi due talenti.
Compratore. Lo compero per tanto: ma il danaro lo pagherò un’altra volta.
Mercurio. Che nome hai?
Compratore. Dione, di Siracusa.
Mercurio. Prendilo col buon augurio. — O Epicuro, sì, chiamo te. Chi compera costui? è discepolo del baione e dell’ubbriaco, che testè abbiam messi all’incanto. Una cosa egli sa più di essi, che ci crede un tantino di meno: per altro è di buona pasta, e sta su tutti i punti della gola.
Compratore. Che prezzo fa?
Mercurio. Due mine.
Compratore. Eccole, ma, così per sapere un po’, di che è ghiotto egli?
Mercurio. Ei mangia chicche, zuccherini, melate, e massime fichi secchi.
Compratore. Oh, è niente. Gli comprerò i pani di fichi secchi di Caria.
Giove. Chiama un altro; quella zucca rasa, quel viso scuro, quel colui che viene dal portico.
Mercurio. Dici bene. La maggior parte della gente venuta alla vendita pareva che l’attendessero. I’ vendo la virtù stessa, la vita perfettissima. Chi vuole egli solo conoscere ogni cosa?
Compratore. Come? che vuoi dire?
Mercurio. Che egli solo è sapiente, egli solo è bello, egli solo è giusto, e forte, e re, ed eloquente, e ricco, e legislatore, e tutto.
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Siracusa Epicuro Caria
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