E chi vuoi per giudice? a chi, se non con doni, come voi usate di fare, persuaderai di dare un’ingiusta sentenza in tuo favore!
Luciano. Non vi date pensiero per questo. Nè io vorrei un giudice sospetto e dubbio, e che mi vendesse il suffragio. Vedete: io fo mio giudice la Filosofia stessa, e voi stessi.
Platone. E chi ti accuserà, se noi giudicheremo?
Luciano. Voi stessi sarete e accusatori e giudici: niente, neppure questo io temo: chè ho ragioni da vendere, e difesa ricchissima.
Platone. O Pitagora, o Socrate, che faremo? Pare che costui non dimandi cosa ingiusta, volendo essere giudicato.
Socrate. Non possiamo altro che incamminarci pel tribunale, e, presa la Filosofia con noi, ascoltare le costui discolpe. Veramente noi non dobbiamo negar la difesa, come fan gli uomini bestiali e feroci che si fanno il diritto con le mani loro. Daremmo buono in mano ai nostri calunniatori, se noi, che vantiam tanto la giustizia, facessimo morire un uomo senza lasciarlo parlare. E che potrò dire io di Anito e di Melito miei accusatori, e di quei giudici, se costui morirà senza che per lui sia scorsa una gocciola d’acqua nell’ampolla?
Platone. Parli da savio, o Socrate: andiam dalla Filosofia: ella giudicherà, e noi staremo al suo giudizio.
Luciano. Così va bene, o sapientissimi: questo è secondo le leggi. Intanto serbate i sassi, come v’ho detto, che serviranno dopo la sentenza. Ma dove troverem la Filosofia? Io non so dove ella abiti. Eppure sono andato su e giù tanto tempo cercandone la casa, per poterle parlare.
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