Platone. Abbiam chiesto permesso di questo solo giorno, e siam venuti a punir costui di quel che ha fatto. Ci sono stati contati tutti i vituperii che egli ha detti di noi pubblicamente.
La Filosofia. E però volete farlo morire così senza difesa? Pare ch’egli voglia dir qualche cosa.
Platone. Così no: ma ce ne rimettiamo a te in tutto: e tu, se vuoi, finirai questo piato.
La Filosofia. E tu che ne dici?
Luciano. Non desidero altro, o regina Filosofia, perchè tu sola potrai chiarir la verità. Quanto ho detto e pregato per farmi giudicare da te!
Platone. Ora, o malvagio, la chiami regina, ora; e poco fa ne hai fatto uno straccio di questa Filosofia, mettendola all’incanto sovra un teatro, e vendendone le sètte due oboli l’una.
La Filosofia. Badate che forse costui non ha sparlato della Filosofia, ma di quei ciurmadori che prendendo il nostro nome, fanno molte ribalderie.
Luciano. Lo saprai tosto, se vorrai udire la mia difesa.
La Filosofia. Andiam su l’Areopago, o meglio su la rôcca stessa, chè di lassù scoprirem largamente tutto quello che accade nella città. Voi intanto, o amiche, passeggiate nel Pecile: tornerò a voi, decisa la lite.
Luciano. Chi sono esse, o Filosofia? anch’esse paiono molto modeste.
La Filosofia. Quella robusta è la Virtù, quell’altra è la Temperanza con la Giustizia: innanzi ad esse cammina la Scienza: e quella che mezzo si asconde, e pare e non pare, è la Verità.
Luciano. Non vedo costei.
La Filosofia. Quella bellissima, non la vedi? quella nuda, che sempre sfugge e sguizza?
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