Adunque andiamo. Ma dimmi tu, che nome hai?
Luciano. Io? Parlachiaro, figliuol di Parlavero, della tribù de’ Persuasori.(84)
La Filosofia. E di che patria?
Luciano. Siro, o Filosofia, di quelle parti presso l’Eufrate. Ma ciò che monta? Io so che molti di questi miei avversarii, per patria non sono men barbari di me; ma l’ingegno e la scienza loro non eran cose di Soli, di Cipro, di Babilonia, o di Stagira.(85) E poi per te non dovria esser da meno chi è barbaro per lingua, purchè ti paia di aver mente dritta e giusta.
La Filosofia. Dici bene: abbi dunque per non fatta la dimanda. Ma quale è la tua arte? questo debbo saperlo.
Luciano. Io sono odiatore degl’impostori, dei furfanti, dei bugiardi, dei superbi; odiatore di tutta la razza dei malvagi, che son moltissimi, come sai.
La Filosofia. Per Ercole! tu hai per mano un’arte molto odiosa.
Luciano. Dici bene: e vedi quanti nemici ho, e quanti pericoli per cagion sua. Ma io so anche benissimo l’arte contraria a questa, dico quella che ha il principio dell’amore. Io sono amatore del vero, del bello, del semplice, e d’ogni cosa che merita amore. Ma per pochissimi io trovo ad esercitar quest’arte, e la contraria per moltissimi: onde corro pericolo di disimparar l’una per manco d’esercizio, e di riuscir troppo nell’altra.
La Filosofia. Eppure non devi: perchè uno è il principio e di questa e di quella arte: onde non le dividere; giacchè è una, e pare che sieno due.
Luciano. Tu la intendi meglio di me, o Filosofia: pure io sono così fatto che odio i malvagi, ed amo e lodo i buoni.
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