No: io voglio vincere con tanti più suffragi.
La Filosofia. Da magnanimo. Sedete voi: e tu, o Diogene, parla.
Diogene. Quali uomini fummo noi nella vita nostra, tu il sai molto bene, o Filosofia, e non accade parlarne: chè, per tacere di me stesso, chi mai non conosce cotesto Pitagora, e Platone, ed Aristotele, e Crisippo, e quanto bene essi hanno fatto al mondo? E tutto che siamo stati tali, questo scelleratissimo Parlachiaro che offese ci ha fatto ora vi dirò. Questi che in sua prima età si diede al mestier d’avvocato, come ei dice, lasciati i tribunali e certa gloria acquistata nel fòro, tutta la sottigliezza dell’ingegno aguzzato nelle aringhe ha rivolta contro di noi, e non rifina d’insultarci, chiamandoci impostori e furfanti, e persuadendo la gente a deriderci e sprezzarci come dappochi. Anzi già egli ha fatto odiare da molti e noi e te, o Filosofia, mettendo in canzone le tue dottrine come baie ed inezie, e recitando con riso beffardo i più santi precetti che tu ci hai insegnati: onde gli ascoltatori gli batton le mani e lo lodano, e noi ne siam vituperati. Così fatto è il popolo: applaude a chi lo fa ridere con le beffe e con gli scherni, massime quando ne vanno in pezzi le cose che paion più sacre: così un tempo applaudiva ad Aristofane ed Eupolide, che per derisione misero questo Socrate su la scena, e gli fabbricarono addosso le più strane commedie. Almeno costoro contro un solo uomo si presero questo ardire, e nei Baccanali, quando v’è certa licenza, e pare che gli scherzi ed i motti faccian parte della festa, e piacciano al Dio ch’è amico del riso.
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