Ma vedendo molti presi non da amore di sapere, ma sol da boria di parere sapienti, far le viste d’essere uomini dabbene, serbando certe pubbliche apparenze che son facili a tutti ad imitare, la barba dico, l’andare, e il mantello; e con la vita poi e con le opere contraddire all’abito che indossano, fare tutto il contrario di quello che voi facevate, e disonorare la dignità di filosofi, io me ne sdegnai grandemente. Questo parvemi come se un molle ed infemminito istrione facesse in una tragedia la parte di Achille, di Teseo, o di Ercole, e invece di camminare o parlar da eroe facesse lo svenevole sotto sì nobil maschera. Neppure ad Elena o a Polissena potrebbe piacere costui, benchè similissimo a loro: or che sdegno ne avrebbe Ercole, il gran vincitore? pensomi che a vedersi fatto una femminella da costui, stritolerebbe a colpi di clava l’istrione e la maschera. Simili oltraggi io vidi fatti a voi da questi istrioni, e non potetti patire tanta vergogna, che queste scimmie ardissero mettersi la maschera degli eroi; o imitassero l’asino di Cuma, il quale coverto della pelle d’un lione, e credendosi divenuto lione, con un gran menare di ragghi spauriva i Cumani che nol conoscevano: finchè un forestiere, che conosceva bene e gli asini ed i leoni, lo scopri e lo cacciò con buone bastonate. Ma quel che più mi sdegnava, o Filosofia, era che quando gli uomini vedevano un malvagio di questi far qualche turpitudine o ribalderia, tutti senz’altro ne incolpavan la Filosofia, e Crisippo, e Platone, e Pitagora, o altro, di cui il vero colpevole spacciava il nome e la dottrina; e dalla rea vita di costui si faceva reo giudizio anche di voi, che eravate morti da tanto tempo.
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