La Filosofia. Bene, o Verità. La prova, o Parlachiaro, sia come quella che fa l’aquila dei suoi aquilotti al sole: non già, provare anche costoro facendoli riguardar nel sole, ma metti innanzi ad essi oro, gloria, piaceri: chi li guarda con disprezzo e senza commoversi, egli è desso, coronalo d’ulivo: chi vi tien l’occhio fiso, e stende la mano all’oro, bruciagli la fronte, rasa prima la barba, come s’è detto.
Parlachiaro. Cosi farò, o Filosofia: e tu vedrai tosto moltissimi marchiati della volpe o della scimmia, e pochi coronati. Intanto, se voi volete, io ricondurrò qui alcuni di quelli.
La Filosofia. Come? ricondurrai quei che son fuggiti?
Parlachiaro. Sì: purchè la Sacerdotessa voglia prestarmi per poco la lenza e l’amo, che il pescator del Pireo appese in voto.
La Sacerdotessa. To’, ed anche la canna, acciocchè tu abbi tutto.
Parlachiaro. Fammi il favore intero, o Sacerdotessa: dammi dei fichi secchi, e un pochetto d’oro.
La Sacerdotessa. Prendi.
La Filosofia. Che pensa di fare costui?
La Sacerdotessa. Ha inescato l’amo coi fichi e con l’oro, e sedutosi su l’orlo della rôcca, l’ha gettato a pescar nella città.
La Filosofia. Che fai, o Parlachiaro? vuoi tu pescar le pietre nel Pelasgico?
Parlachiaro. Taci, o Filosofia, e aspetta la pésca. O Nettuno, re dei pescatori, e tu, o bella Anfitride, mandateci molti pesci. Ma zitti, vedo un gran lupo marino, o piuttosto un’orata.
La Convinzione. No, è un pesce gatto, che viene all’amo con la bocca aperta. Fiuta l’oro, s’avvicina, l’ha morso, è preso: tiriamo.
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