Parlachiaro. Aiutami anche tu, o Convinzione, a tirar la lenza. È sopra. Or dimmi, chi sei tu, o bellissimo tra i pesci. È un pesce cane questo.(90) Caspita, e che denti! E come? sei stato preso al lecco intorno a questi scogli dove speravi di rimbucarti? Ma ora tenendoti sospeso dalle branchie, ti mostrerò a tutti. Caviamogli l’esca e l’amo. All’amo non c’è più nulla: i fichi secchi e l’oro se l’ha già inghiottiti.
Diogene. Faglieli vomitare, per Giove! affinchè adeschiamo gli altri.
Parlachiaro. Sta bene. Ma dimmi, o Diogene, conosci chi è costui? è de’ tuoi egli?
Diogene. Niente affatto.
Parlachiaro. Be’: e di che prezzo lo fai? Io testè lo stimai due oboli.
Diogene. È troppo. Non saria chi mangiarlo, è brutto, ha la carne tigliosa, non val nulla. Gittalo a rompersi il collo su i scogli. Tirane un altro, getta l’amo. Ma bada, o Parlachiaro, che la canna non si pieghi troppo e si spezzi.
Parlachiaro, Non temere, o Diogene, non pesano, e son leggieri più delle acciughe.(91)
Diogene. Son ciuchi, per Giove! Tira su.
Parlachiaro. Ve’, vedi quest’altro piattone,(92) come un pesce spaccato a mezzo, come una sogliola! corre all’amo con tanto di bocca: l’ha ingoiato, è preso; venga su.
La Convinzione. Chi è egli?
Diogene. Ei dice che è di Platone.
Platone. Anche tu, o ribaldo, corri all’oro?
Parlachiaro. E che ne faremo, o Platone?
Platone. Su i scogli anch’esso.
Diogene. Gitta l’amo per un altro.
Parlachiaro. Ne vedo venire uno bellissimo, per quanto discerno nel fondo, con la pelle screziata e il dorso listato di colori d’oro.
| |
Convinzione Caspita Giove Diogene Parlachiaro Diogene Giove Convinzione Platone Platone
|