Lo vedi, o Convinzione? quello che m’ha l’aria di Aristotele, quello è. S’era avvicinato, ed ora se ne va roteando. Si guarda intorno; ritorna; apre la bocca; è preso: tiriamolo.
Aristotele. Non mi dimandar di lui, o Parlachiaro: io non so chi sia.
Parlachiaro. Dunque anch’esso giù su i scogli, o Aristotele. Ma vedo una torma di pesci, tutti d’un colore, spinosi, bruttissimi d’aspetto, e più aspri a toccare dei ricci. Ci vorria proprio una rete, ma non c’è. Basterebbe se ne prendessimo uno: eh, il più ardito darà certo nell’amo.
La Convinzione. Gitta la lenza; ma se credi, assicúravi bene l’amo, affinchè non la rompa coi denti ingoiando l’oro.
Parlachiaro. È giù. O Nettuno, mandami tosto una buona pésca. Caspita! si azzuffano per l’esca: alcuni stanno a rodere intorno al fico, ed altri si sono attaccati all’oro. Bene: ne abbiamo uncinato uno grosso. Or dimmi tu, che nome hai? Ma che sciocco son io, a voler far parlare un pesce, che son tutti muti! Dimmi tu, o Convinzione, chi sarebbe il maestro di costui.
La Convinzione. Crisippo.
Parlachiaro. Capisco ora perchè correva all’oro.(93) O Crisippo, dimmi, per Minerva, conosci tu costoro? insegnasti tu a loro di fare quello che fanno?
Crisippo. Con questa dimanda tu mi offendi, o Parlachiaro, che credi che questo canagliume appartenga a me.
Parlachiaro. Tu se’ generoso, o Crisippo. Questo anderà giù con gli altri; è pieno di lische, e c’è paura che, mangiandolo, qualcuna si possa attraversar nella gola.
La Filosofia. Basta di questa pésca, o Parlachiaro: chè tra tanti qualcuno potrebbe portarsi via l’oro e l’amo; e tu dovresti pagarlo alla Sacerdotessa.
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