Cloto. E noi, o Caronte, dicevamo che Mercurio è uno stracurato.
Caronte. Che più indugiamo? come se non avessimo perduto tempo abbastanza?
Cloto. Dici bene: s’imbarchino. Io col libro in mano sederò in capo alla scala, e al solito, come salgono, ricercherò da ciascuno chi è, e donde, e in qual modo è morto. Tu prendili, stívali, e disponili come puoi. Tu poi, o Mercurio, imbarca prima questi fanciulli: che potrebbero essi rispondermi?
Mercurio. Eccoli, o barcaiuolo: son trecento, coi trovatelli.
Caronte. Oh, buona preda! Son grappoli d’agresto questi morticini.
Mercurio. Vuoi, o Cloto, che dopo questi imbarchiamo gl’illacrimati?
Cloto. I vecchi dici: sì. Or che debbo dimandare a costoro? ciò che si faceva prima d’Euclide?(94) Voi che passate sessant’anni, fatevi qua. Oh, non mi odono: sono insorditi per la vecchiaja. Si dovrà pigliar di peso anch’essi, e metterli dentro.
Mercurio. E questi che dovevano cadere son pure trecento novantotto, tutti molli e maturi, e cotti al tempo loro.
Cloto. Altro, per Giove. Son grappoli d’uva passa. Appresso conduci, o Mercurio, i morti di ferite: e voi ditemi per qual maniera di morte siete venuti qui? Ma no, vi chiamerò a rassegna secondo lo scritto. Ottantaquattro guerrieri dovevano morir ieri nella Misia, fra i quali Gobare figliuolo di Ossiarte.
Mercurio. Sono qui.
Cloto. Sette uccidersi per amore, e il filosofo Teagene per una cortigiana di Megara.
Mercurio. Ti stanno vicino.
Cloto. E dove sono quelli che per un regno si sono sgozzati tra loro?
Mercurio.
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