Cloto. E qual è? pare che sia una cosa grande.
Megapente. Carione mio servo, come mi vide morto iersera, montò nella camera dove io ero steso nel cataletto, e non essendovi nessuno che mi guardasse, egli vi menò Glicerina mia concubina, con la quale già se la doveva intendere prima, e serrata la porta, se la godette, come se lì dentro non ci fosse stato nessuno. E poichè si fu sollazzato abbastanza, voltosi a me: E tu, dice, o pezzo di scellerato, m’hai fatto dare tante nerbate ingiustamente. E così dicendo mi strappava la barba, mi percoteva tutto il volto, e in fine tirandosi uno sputacchio dal profondo del petto me lo sputò in faccia, e, Vattene a casa de’ dannati, disse, e se n’andò. Io ardevo di sdegno, ma non avevo che fargli, essendo lì freddo e stecchito. La malvagia donna come al romore s’accòrse che veniva qualcuno, ungesi gli occhi con la saliva, e facendo le viste di piangere, di gemere, e di chiamare il nome mio, andossene. Oh, se li avessi in mano....!
Cloto. Smetti dalle minacce, e monta. È tempo di presentarti al tribunale.
Megapente. E da chi potrà esser giudicato un tiranno?
Cloto. Un tiranno da nessuno, ma un morto da Radamanto: e tosto vedrai come egli è giusto, e come dà a ciascuno la pena secondo il merito. Ma orsù, sbrígati.
Megapente. Fammi anche privato, o Parca, fammi mendico, fammi anche servo, di re ch’io ero; ma lasciami tornare in vita.
Cloto. Dov’è colui col bastone? Pigliatelo pe’ piedi, o Mercurio, e strascinatelo dentro: chè da sè non ci verrà.
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Glicerina Vattene Radamanto Parca Mercurio
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