Ora io voglio, come Cebete, dipingerti un quadro di questa vita, acciocchè tu guardando in esso, veda se ti conviene entrarvi. Ci vorrebbe veramente un Apelle, un Parrasio, un Aezione, un Eufranore a dipingerlo; ma giacchè ora non si trova un artista di tanto ingegno e valore nell'arte, te ne farò io alla meglio un po' di schizzo. Si dipinga un vestibolo d'un palagio alto e dorato, non già nel piano, ma alto da terra sovra un colle: la salita sia lunga, erta, sdrucciolevole, per modo che spesso chi spera di essere già presso la cima, si fiacchi il collo, sfallendo d'un piè: dentro vi segga esso Pluto che paia tutto d'oro, e leggiadrissimo, e amabilissimo. L'innamorato salendo a fatica ed accostandosi alla porta, resti abbagliato mirando nell'oro. Lo pigli per mano la Speranza, bella anch'essa e in veste variopinta, e lo introduca mentre sta pieno di maraviglia in su l'entrata. E da questo punto la Speranza sempre lo guidi. Una coppia dipoi lo riceva, l'Inganno e la Servitù, e lo consegnino alla Fatica. Questa, dopo di averlo molto strapazzato, lo dia in mano alla Vecchiaia, già mezzo ammalato e mutato di colore: ultima lo afferri l'Ingiuria, e lo trascini alla Disperazione. Qui la Speranza sen voli e sparisca: egli, non più per la porta d'oro onde entrò, ma per un usciuolo di dietro, sia cacciato via nudo, panciuto, giallo, vecchio, con una mano coprendosi le vergogne, e con l'altra strozzandosi: in su l'uscita gli venga incontro il Pentimento, che piange senza pro e finisce di perdere quel perduto.
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