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      Non sarebbe meglio arrendermi, piegar le spalle, non negare il peccato, dire, come tutti dicono, che è stata la Fortuna, la Parca, il Fato; e pregare chi mi biasima di perdonarmi, e ricordarsi che noi non siam padroni di noi stessi, ma soggetti ad una potenza maggiore che ci sforza, e che non è affatto in noi nè la volontà nè la cagione di ciò che diciamo o facciamo? Questa saria troppo plebea, nè tu me la meneresti buona se io mi appigliassi ad una tale difesa, e prendessi ad avvocato Omero, e ti recitassi quei versi:
      Degli uomini nessuno sfugge al Fato;
      eQuesto destino gli filò la Parca
      Quando la madre partorillo.
      Ma se scartando questo discorso come non troppo credibile, io dicessi un’altra cosa, che non per voglia di ricchezze nè per cotali altre speranze, io mi sono piegato a vivere con costui; ma per la prudenza, la fortezza, e la magnanimità che ammiro in quest’uomo, io mi sono invogliato ad accumunare l’ufficio con lui: temo che avrei per giunta l’accusa di adulatore, mi direbbero che caccio il chiodo col chiodo, che ne copro una brutta con un’altra più brutta, quale è l’adulazione, pessimo e sozzissimo fra tutti i vizi. Se questo no, quell’altro no, che dunque mi rimane, se non confessare di non aver che dire? Forse mi rimane la sola áncora della speranza, deplorare i malanni e più di tutto la povertà, che ci consiglia a fare e sopportare ogni cosa per fuggirla. E qui forse staria bene invocare la Medea di Euripide acciocchè venga ad aiutarmi, e dire ella per me quei versi, con un po’ di parodia:


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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