Licino. Eppure non m’hai detto quanto tempo ci vuole.
Ermotimo. Neppur io lo so bene: ma pensomi che non più di un vent’anni, e poi sarem certamente su la cima.
Licino. Per Ercole! è troppo.
Ermotimo. Ma è grande la cosa per cui ci affatichiamo.
Licino. Forse è: ma chi ti ha assicurato che ci vivrai oltre cotesti vent’anni? forse il maestro, che è filosofo e strologo? o qualche indovino? o quei che sanno l’arte de’ Caldei, e fanno di queste predizioni? A te non conviene, nell’incertezza se ci vivrai tanto da pervenire alla virtù, di sopportare tante fatiche, di affannarti dì e notte, senza sapere se mentre sei presso alla cima e nel bello delle speranze, la morte, afferrandoti per un piede, non ti tragga giù, e tu rimanga sciocco.
Ermotimo. Via, non farmi il cattivo augurio, o Licino. Potess’io vivere tanto da gustar pure un solo giorno di felicità, divenuto filosofo.
Licino. E ti basta per tante fatiche un giorno solo?
Ermotimo. A me anche un momento mi basteria.
Licino. Ma di’: che lassù vi sia la felicità, e che ella sia sì grande che conviene sopportare ogni cosa per acquistarla, donde lo sai? tu non vi se’ mai salito.
Ermotimo. Credo al maestro che lo dice: ed ei lo sa bene, chè sta in cima da tanto tempo.
Licino. Deh, per gli Dei, contamene qualche cosa, come è fatta la felicità di lassù? vi è ricchezza, vi è gloria, vi è piaceri ineffabili?
Ermotimo. Taci, o amico; niente di questo ha che fare con la vita della virtù.
Licino. E se non questi, quali beni, egli dice che avrà colui che giunge al fine di tanti studi?
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Ercole Caldei Licino
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