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      Licino. Ebbene, o Ermotimo: io t’ho passato e t’ho creduto tutto ciò che m’hai contato di costoro, che diventano sapienti, e forti, e giusti, e d’un’altra pasta, come vuoi tu: ma quando m’hai detto che sprezzano le ricchezze, gli onori, i piaceri, che non si sdegnano, nè si addolorano, questo poi no (sia detto fra noi due); perchè mi ricorda quel che vidi fare.... vuoi che ti dica da chi? o l’intendi, senza ch’io lo nomini?
      Ermotimo. No: ma dimmi chi è.
      Licino. Il tuo maestro, esso, quel rispettabilissimo vecchione.
      Ermotimo. E che ha fatto egli?
      Licino. Conosci quel forestiero d’Eraclea, che imparava filosofia da lui, quel rosso, che appicca sempre questioni?
      Ermotimo. Conoscolo: ha nome Dione.
      Licino. Appunto. Per la paga forse che non gli diede a tempo, egli ultimamente lo menava innanzi l’arconte, e tenendolo pel mantello al collo, gridava e tempestava: e se alcuni amici entrati in mezzo non gli avesser cavato il giovane dalle mani, ei gli si era avventato, e gli avria strappato il naso con un morso: tanto era infuriato il vecchio.
      Ermotimo. Era una trista lana colui, e restio al pagare. Con gli altri, ai quali egli presta, e sono tanti, non fece mai di tali cose: perchè tutti puntualmente gli portavano i frutti(10).
      Licino. E se anche non glieli avessero portati, doveva curarsene egli che è già levato in alto dalla filosofia, e non ha più bisogno di ciò che ha lasciato sull’Oeta?
      Ermotimo. E credi tu che egli badava a questo per sè? Ha certi suoi figliuoletti, e deve pensare che non vivano nella miseria.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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