Dice che Eutidemo si ritirò non senza sangue, anzi con una gran ferita nel capo. Era un arrogante, che convinceva, e non voleva farsi convincere, e ribatteva ogni argomento: onde il tuo bravo maestro afferra una tazza grande quanto quella di Nestore, gliela scaglia nel capo, e così vince.
Ermotimo. Bravo! Non si doveva altrimente con chi non vuol cedere ai maggiori di lui.
Licino. Cotesto, o Ermotimo, è ragionevolissimo. Per qual ragione Eutidemo stuzzicava un vecchio così mansueto, così buono, e con una sì gran tazza in mano? Ma giacchè siamo scioperati, perchè non mi conti all’amico tuo in che modo cominciasti a filosofare, affinchè anch’io, se ancora è possibile, mi metta sulla stessa via con esso voi, cominciando da questo momento? Voi siete amici, e non mi scaccerete certamente.
Ermotimo. Se vuoi davvero, o Licino, vedrai in breve quanto sarai da più degli altri: ti parran tutti fanciulli a petto a te: tanto ne saprai di più.
Licino. A me basta se dopo vent’anni diventerò come se’ tu ora.
Ermotimo. Non dubitarne: anch’io dell’età tua cominciai a filosofare, di circa quarant’anni, quanti n’hai tu ora, credo.
Licino. Tanti, o Ermotimo. Onde da ora mettimi dentro ai vostri segreti. Ma è giusto che tu primamente mi dica una cosa: Concedete voi ai discepoli di fare qualche difficoltà se non si persuadono, o nol concedete affatto ai novelli?
Ermotimo. Niente affatto: ma tu fa’ le dimande e le difficoltà che vuoi: chè così imparerai più facilmente.
Licino. A maraviglia, il mio Ermotimo, per quell’Ermete onde hai il nome.
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