Egli suole dare di tali consigli, ed indicare una più che un’altra forma di filosofia, secondo conosce affarsi a ciascuno.
Ermotimo. Niente di questo, o Licino: nè di questa cosa dimandai il dio.
Licino. E se la non ti parve degna d’un consiglio divino, ti tenesti tu sufficiente a scegliere da te il meglio, senza l’aiuto del dio?
Ermotimo. Mi tenni sufficiente.
Licino. Dunque ed insegnerai anche a me questo primamente, come si discerne subito ed a prima vista quale è la filosofia migliore, e la vera, e da scegliere, lasciando le altre?
Ermotimo. Dirottelo. Vedendo che moltissimi seguivano questa, credetti che ella fosse la migliore.
Licino. E cotesti moltissimi quanti sono più degli epicurei, dei platonici, dei peripatetici? Certamente gli annoverasti, come si usa nei suffragi.
Ermotimo. Annoverai no; ma congetturai.
Licino. Così tu non vuoi insegnarmi ma canzonarmi: quando mi dici che di una sì gran cosa hai giudicato per congettura e dalla folla, tu sfuggi di dirmi il vero.
Ermotimo. Non pure per questo, o Licino, ma perchè io udivo dire a tutti che gli Epicurei sono molli e voluttuosi, i Peripatetici cercano ricchezze e contese, i Platonici sono tutti fumo e boria: degli Stoici era una voce, che sono uomini forti, sanno tutto, e chi va per la loro via egli solo è re, egli solo è ricco, egli solo è sapiente, egli è tutto.
Licino. Cotesto te lo dicevano gli altri certamente, non essi: chè tu non avresti prestato fede ad essi se si fosser lodati così.
Ermotimo. No: lo dicevano gli altri.
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