E credi che così avrò turata la bocca a Platone, a Pitagora, ad Epicuro, e agli altri? Mi rideranno in faccia, e mi diranno: — Che fa, o Licino, il tuo amico Ermotimo? Vuole stare alla fede dei nostri avversari, nel giudicar di noi, e crede che le nostre dottrine sono quali le dicono essi, che o non le conoscono o nascondono il vero? Dunque se egli vede qualche atleta prima di entrare in lizza esercitarsi così a scagliare sgambetti e menare di gran pugni all’aria, come se desse veramente ad un avversario, egli, che è l’agonoteta, lo farà tosto bandir vincitore: o crederà che questa è una pruova sicura e fanciullesca senza nessuno a fronte; e che allora egli potrà giudicar della vittoria, quando l’atleta avrà atterrato e stancato il suo avversario; altrimente no? Non si pensi Ermotimo, per quel giuoco di schermaglia che i suoi maestri fanno con le ombre nostre, non si pensi che essi ci abbattano, o che le nostre dottrine sieno agevoli a confutare, perchè così essi fanno come i fanciulli che costruiscono le casucce che mal si reggono e tosto le abbattono; o pure fan come coloro che s’addestrano a tirare con l’arco, i quali, legato un fascio di paglia ad un palo, e allontanati un po’, tirano in quel bersaglio: e se vi danno e trapassan la paglia, tosto gridano, come se avesser fatto un gran colpo a trapassar di saetta fuor fuora un fantoccio. Non fanno così gli arcieri Persiani e Sciti; i quali cavalcando saettano, ed in segno che si mova e trascorra, e non istia saldo ad aspettare il dardo, ma corra velocissimo; onde spesso saettan le fiere, e taluni imberciano anche gli uccelli.
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