E quando vogliono provare come il colpo entri, mettono per bersaglio un legno, o uno scudo coperto di cuoi freschi, e correndo tirano in esso, e così si addestrano a fare di simili colpi quando sono in guerra. Or di’ da parte nostra ad Ermotimo che i suoi maestri saettano in fantocci di paglia, e dicono di avere atterrati uomini armati: dipingono le nostre immagini, e con quelle lottano: da bravi le vincono, e si pensano di vincer noi. Ma ciascuno di noi dirà a costoro le parole che disse Achille di Ettore:
Dell’elmo mio non guarderan la fronte.
E questo lo dicono tutti insieme, e ciascuno in particolare. E parmi che Platone conterà uno di quei fatterelli avvenuti in Sicilia, e dei quali egli è pieno. È fama che a Gelone Siracusano putiva il fiato, ed egli non se n’era accorto, perchè nessuno s’attentava di dire questo difetto ad un tiranno, finchè una donnetta forestiera che si giacque con lui ebbe l’ardire di dirglielo schiettamente. Egli andò dalla moglie, e la rimproverò perchè non gli avesse detto mai di quel putore, che specialmente ella aveva dovuto sentire. Ed ella lo pregò che le perdonasse, perchè la non aveva mai conosciuto nè avvicinato altro uomo, ed aveva creduto che a tutti gli uomini sentisse così la bocca. Così Ermotimo essendo stato coi soli stoici (diria Platone, ve’) ragionevolmente non sa come son fatte le bocche degli altri. — Simili cose mi direbbe Crisippo, e forse anche più di queste, se io lo piantassi senza sentir le sue ragioni, e mi mettessi a seguir Platone, affidandomi in chi ha conosciuto il solo Platone.
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