Ermotimo. Saria il migliore: ma a cotesto s’oppone ciò che tu dicevi poco fa, che chi s’è avviato ed ha spiegato le vele non torna indietro sì facilmente. Come è possibile percorrere tutte le vie chi, come tu di’, è ravviluppato nella prima?
Licino. Te lo dirò io. Imiteremo quel che fece Teseo, e tenendo in mano il filo d’Arianna, come dice la tragedia, entreremo in ciascun laberinto: e così aggomitolandolo, uscirem facilmente.
Ermotimo. E chi sarà per noi Arianna? e donde avremo il filo?
Licino. Sta’ di buon animo, o amico: chè io credo d’aver trovato a cui attenendoci uscire.
Ermotimo. E che è?
Licino. Quel detto, non mio, ma di uno de’ sapienti: Sii cauto, e ricórdati di non credere. Se alle cose che udiamo non aggiusterem fede così in prima, ma a ragion veduta, e serbandoci a discorrerne di poi, forse facilmente uscirem dei laberinti.
Ermotimo. Ben dici: e così facciamo.
Licino. Sia. Or da chi anderemo prima? Ma non importa: cominciamo da chicchessia, da Pitagora, così a caso. Quant’anni vogliamo ad imparar tutta la dottrina di Pitagora? Non togliere i cinque anni del silenzio, ma con quei cinque, bastano trenta, credo; se no, almeno venti.
Ermotimo. Pognamo venti.
Licino. Appresso dobbiam porre altrettanti per Platone, e non meno per Aristotele.
Ermotimo. Non meno.
Licino. Per Crisippo non dirò quanti: tu stesso m’hai detto che appena bastano quaranta.
Ermotimo. Così è.
Licino. Poi per Epicuro, poi per gli altri. E che io non ponga le partite troppo grosse, puoi vederlo se consideri quanti stoici, epicurei e platonici ci sono, che vecchi d’ottant’anni confessano di non sapere così a fondo le dottrine della setta loro, che non rimanga loro qualche cosa a sapere.
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