Ermotimo. No.
Licino. E neppure la filosofia, da una parte che uno te ne dicesse per mostra, tu potresti impararla tuttaquanta: ella non è una come il vino, cui tu la paragonavi, come se fosse una cosa da bere: ma è tutt’altra cosa, e vuole non poca attenzione. Dappoichè se comperi un vino cattivo, il rischio è di gettar due oboli; ma andar confuso nel volgo degli sciocchi, come tu dicevi, non è un piccol male. E poi chi per comperare un fiasco di vino, col saggia e risaggia, beesse tutta la botte, faria dannaggio al vinaio: ma la filosofia non è affatto così, anzi bevine quanto vuoi, la botte non isminuisce, nè il vinaio ne ha danno: più ne versi, più scorre, come dice il proverbio. Rovescio della botte delle Danaidi, dove quel che versavi se ne scorreva: di questa più togli, più cresce quel che rimane. Ma su questo tuo saggiare voglio farti un altro paragone della filosofia; e non credere che io lo dica per istrazio, se io la paragono ad un veleno, come alla cicuta, all’aconito, o ad altro. Questi farmachi benchè sono mortiferi, pure non ucciderebbero chi ne prendesse solo un gocciolo in punta all’unghia, e lo gustasse; anzi se non se ne prende la quantità necessaria, con tale regola, e in tal modo, non si muore. E tu credevi che un tantino basti a farti acquistare perfetta conoscenza del tutto.
Ermotimo. Bene, sia come vuoi tu, o Licino. Dunque cent’anni dobbiam vivere, e tante fatiche sostenere; altrimenti non diventeremo filosofi?
Licino. No, o Ermotimo: e in questo non c’è male, se pure tu dicevi il vero testè, che la vita è breve, e lunga è l’arte: e non so perchè ti sdegni che oggi stesso prima che cada il sole tu non ci diventi un Crisippo, un Platone, un Pitagora.
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