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      Così interviene a certuni che in mente loro si fabbricano una vana felicità: se mentre sfoggiano ricchezze, e trovano tesori, e sono re, e sguazzano in tutte le delizie (come le forma quel Dio, che si chiama Desiderio, facile e gran donatore, che non sa negar niente a nessuno, ancorchè uno volesse diventare uccello, o grande quanto il colosso, o fare oro di tutto quello che tocca); se mentre sono in queste immaginazioni, viene un servo a dimandarli d’una faccenda, come a dire di che comperare il pane, o che rispondere al padrone di casa che aspetta e fa ressa per esser pagato, si sdegnano contro il servo importuno, come se questi avesse lor tolte davvero tutte quelle felicità, e per poco non gli strappano il naso con un morso. Io, o amico mio, non ti sarei importuno, ti lascerei cavar tesori, e volare per l’aria, e correr dietro alle più strane immaginazioni, alle speranze più lontane; ma mi sei amico, e non posso patire che tu passi tutta la vita in un sogno, forse dolce sì, ma sogno: e però ti consiglio di svegliarti, levarti, badare al necessario, e per quel tempo che ti rimane a vivere pensare a’ casi tuoi, a quello che pensano tutti gli altri; perchè le cose che tu ora facevi e pensavi non sono punto dissimili dagl’ippocentauri, dalle chimere, dalle gorgoni, dai sogni, e dalle libere invenzioni dei poeti e dei pittori, le quali non furono mai, nè possono essere. Il volgo crede a queste invenzioni, e le adora quando le vede o le ode, appunto perchè sono strane e nuove. E tu, se uno di questi cantafavole ti dice che v’è una donna di tanta sovrannaturale bellezza che vince le Grazie e Venere celeste, tu senza cercar prima se egli dice il vero, e in qual parte della terra sia questa donna, tosto te ne innamori, come Medea in sogno s’innamorò di Giasone.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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