Navigando dalla Caria suo paese natio verso la Grecia, pensava tra sè come al più presto e più speditamente divenire illustre e celebrato egli e la sua storia. Andare attorno e leggerla ora agli Ateniesi, ora ai Corintii, poi agli Argivi, poi ai Lacedemoni gli parve fatica lunga, e da spendervi molto tempo. Pensò dunque di non ispargersi, di non andare racimolando e raggruzzolando qua e là un po’ di fama; ma se gli venisse fatto di cogliere tutti i Greci uniti insieme. S’avvicinano i grandi giuochi olimpici; ed Erodoto stimando venirgli l’occasione da lui desiderata, aspetta l’adunanza piena; e poi che d’ogni parte vi si fu raccolto il fiore dei Greci, presentasi dietro il tempio non come spettatore ma come combattitore nei giuochi; e recitando le sue istorie empì di tanto diletto gli ascoltatori che i suoi nove libri furono chiamati le nove Muse. Così dunque ei fu conosciuto da tutti più che gli stessi vincitori dei giuochi: non v’era persona che non avesse udito il nome d’Erodoto: chi aveva udito lui in Olimpia, chi ne aveva udito parlare dai venuti di là: e se egli pur compariva, era mostrato a dito, e dicevano: Questi è quell’Erodoto che scrisse la guerra persiana in gionio, quegli che cantò le nostre vittorie. Tale frutto egli ottenne della sua storia: in una sola adunanza ebbe il comune suffragio della Grecia, e fu gridato non da un banditore solo, ma da quanti l’udirono, e poi lo buccinarono ciascuno nella sua città. Appresso si conobbe che questa era una via breve per venire in fama; ed Ippia il sofista di Elide, e Prodico di Ceo, ed Anassimene di Chio, e Polo d’Agrigento, ed altri parecchi recitarono sempre le loro opere in quell’adunanza, e così tosto diventarono celebri.
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