Io, sciocco me! credevo che quando si sbracciavano a lodarmi erano stati dilettati appunto da questo: credevo che è vero, sì, il detto d’Omero che Canzone nuova piace sempre, ma sino ad un certo punto: che non si deve attribuire molto nè tutto alla novità, la quale non è altro che un po’ di frangia che pure adorna; ma che le cose lodate ed applaudite dagli ascoltatori erano quelle che dicevo: onde m’ero tutto ringalluzzito, ed ebbi la tentazione di credere alle loro parole, che io sono l’unico e solo scrittore tra i Greci, e cotali altre ciance. Ma, come dice il proverbio, il mio tesoro è stato carboni: e per poco non mi hanno lodato come si loda un cerretano.
A questo proposito voglio contarvi ciò che avvenne al pittore Zeusi. Quel principe dei pittori non dipingeva subbietti comuni e volgari, o almeno pochissimi, ma eroi, dei, battaglie: sempre tentava di far cose nuove, e quando aveva formato qualche nuovo e peregrino concetto, l’incarnava con tutta la cura e la perfezione dell’arte. Fra le altre sue ardite invenzioni Zeusi dipinse una centaura che latta due centauretti gemelli. Una copia di questo quadro è in Atene, ed è ritratta con esattissima diligenza: l’originale si dice che da Silla generale romano fu mandato con altre opere d’arte in Italia; e che presso la Malea la barca affondò, si perdette ogni cosa, ed anche quel quadro. Io ho veduto l’immagine di quella immagine, e ve la voglio descrivere come posso: non già che m’intenda di pittura io, ma avendola di fresco veduta nello studio d’un pittore in Atene, l’ho ancora innanzi agli occhi: e la gran maraviglia che mi fece allora quell’opera d’arte, forse ora m’aiuta a descriverla meglio.
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