— Son io, rispose; se tra voi si parla ancora di me. —Or sappi, disse Anacarsi, che io sono tuo discepolo, e tuo rivale nell’amore che t’innamorò di vedere la Grecia. Questo è il negozio che m’ha fatto partire, e venir qui, e sostener mille fatiche fra tante genti. Pure se non mi fossi scontrato in te, ero già deciso, prima di cadere il sole, di rimbarcarmi: tanto m’ero turbato vedendomi in un mondo tutto nuovo e sconosciuto. Ma deh, per la Scimitarra e per Zamolchi nostri iddii, siimi tu guida, o Tossari, e mostrami quanto di bello è in Atene prima, e poi in tutta Grecia, le migliori leggi, gli uomini più valenti, i costumi, le solennità, la vita che qui si mena, il governo, e tutte le altre cose, per le quali tu, ed io dopo di te, facemmo tanta via; e non volere che io me ne torni senza averle vedute. — Cotesto non è parlare da innamorato, rispose Tossari: venir sino alla porta, e tornarsene indietro. Ma fa’ cuore: tu non te ne anderai, come dicevi, nè questa città te ne farebbe andar facilmente: ella ha tante attrattive pei forestieri da non farti ricordar più nè di moglie nè di figliuoli, se n’hai. Ora per veder subito tutta Atene, anzi tutta Grecia ed il fior fiore dei Greci, ti suggerirò io un mezzo. È qui un sapiente uomo, paesano sì, ma che ha viaggiato assai in Asia ed in Egitto, e conosciuto molti savi uomini: ei non è ricco, anzi è poverissimo: vedrai un vecchio così vestito alla buona, ma per la sapienza e le altre virtù sue lo tengono in sì grande onore, che lo hanno fatto legislatore ed ordinatore della città, e vivono secondo le sue leggi.
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