Di siffatto animo sia il mio storico.
In quanto poi alla lingua ed allo stile, ei non si armi di asprezza, di veemenza, di continuo periodare, di stringato argomentare, e di altre ciarpe rettoriche, ma si disponga più riposatamente, e si metta a scrivere. Il pensiero sia ordinato e pieno, la dizione chiara e polita, e che scolpisca il subietto. Perocchè come alla mente dello scrittore proponemmo due scopi, la libertà e la verità; così al suo stile proponiamo un solo scopo, il dir chiaro, il narrare con lucentezza, usando parole non viete o disusate, nè di mercato o di taverna, ma tali che sieno intese dal popolo, e lodate dalla gente colta. L’ornamento delle figure abbia certa modestia, e specialmente certa naturalezza: se no, il discorso sarà come cibo non condito, ma insalato.
La mente tocchi alcun che del poetico quando si solleva a raccontar di grandi avvenimenti, specialmente battaglie terrestri e navali, chè allora un cotal vento poetico deve gonfiar le vele e far volare la nave su l’acqua. Ma la dizione vada per terra: si sollevi sì con la bellezza e la grandezza delle cose che narra, ma rimanga sempre eguale a sè stessa, non imbizzarisca, non gonfi inopportunamente, perchè allora v’è grandissimo pericolo che non aggiri il capo, e non si cada nel furore poetico: onde bisogna ubbidire al freno, e stare in cervello, chè il vincer la mano è brutto fallo anche nello scrivere. È meglio che la mente stia a cavallo, e la elocuzione a piedi le si tenga alla sella, per non essere lasciata indietro nel corso.
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