La brevità sopra tutto è utile, massime se si ha molto a dire: e dev’essere non tanto nelle parole e nelle frasi, quanto nelle cose: cioè se trascorri su le cose piccole e poco necessarie, e ti distendi convenevolmente su le grandi: anzi ce ne ha dimolte che vanno lasciate affatto. Così se conviti a banchetto gli amici, ed hai tutto apparecchiato su la mensa, in mezzo ai confetti, all’uccellame, ai tanti piatti di lepri, di cinghiale, di ventresche, tu non metti salume o polenta, che anche è preparato, ma tu non ti curi affatto di quei cibi grossolani. Specialmente devi badare nelle descrizioni di monti, di castella, di fiumi a non isfoggiar troppo in parole per far bella comparita tu, tralasciando la storia: ma leggermente toccare, per ragione di utilità e chiarezza, e passare oltre, non invischiandoti in cotali frasche. Vedi come fa quel gran senno d’Omero, il quale, benchè poeta, in due tocchi ti dipinge Tantalo, Issione, Tizio, e gli altri. Se Partenio, o Euforione, o Callimaco avesser dovuto dipingerli, quante parole avriano adoperate per portar l’acqua sino al labbro di Tantalo, e quant’altre per mettere Issione su la ruota! Anzi vedi Tucidide stesso come è sobrio nelle sue descrizioni, come subito tocca e passa, se descrive una macchina o un assedio, quando ve n’è utilità e necessità, o pure la forma dell’Epipoli, o il porto di Siracusa. Quando descrive la peste, pare lungo, ma riguarda alle cose e vedrai come egli è breve, e come fuggendo egli abbraccia tanti fatti.
Se mai si dovrà introdurre qualcuno a parlare, parli cose convenienti alla sua persona, intrinseche al subietto, ed in modo chiarissimo: ed allora si potrà sfoggiar rettorica e forza di eloquenza.
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