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      Allora venne a tutti un gran pianto, ma infine io diedi animo ai compagni, e fermammo la nave: essi battuta la selce col fucile accesero del fuoco, e così facemmo un po’ di cotto alla meglio: avevamo intorno a noi pesci d’ogni maniera, e ci rimaneva ancora acqua di Espero. Il giorno appresso levatici, quando la balena apriva la bocca, vedevamo ora terre e montagne, ora solamente cielo, e talora anche isole; e così ci accorgemmo che essa correva veloce per tutte le parti del mare. Poichè ci fummo in certo modo adusati a vivere così, io presi sette compagni e andai nella selva per iscoprire il paese. Non era andato cinque stadii, e trovo un tempio sacro a Nettuno, come diceva la scritta, e poco più in là molti sepolcri con colonne sopra, ed una fonte d’acqua chiara, udimmo ancora il latrato d’un cane, e vedemmo fumo lontano, e pensammo vi fosse anche qualche villa. Affrettato il passo giungemmo ad un vecchio ed un giovinetto, che con molta cura lavoravano una porca in un orticello, e l’inaffiavano con l’acqua condotta dalla fonte. Compiaciuti insieme e spauriti ristemmo: ed essi, come si può credere, commossi del pari, rimasero senza parlare. Dopo alcun tempo il vecchio disse: Chi siete voi, o forestieri? forse geni marini, o uomini sfortunati come noi? chè noi siamo uomini, nati e vissuti su la terra, ed ora siamo marini, e andiam nuotando con questa belva che ci chiude, e non sappiamo che cosa siam divenuti, chè ci par d’esser morti, e pur sappiamo di vivere. – A queste parole io risposi: Anche noi, o padre, siamo uomini, e testè giungemmo, inghiottiti l’altrieri con tutta la nave.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Espero Nettuno