Invece di vele ciascuna aveva molta boscaglia, dove il vento colpiva, e portava l’isola dove voleva il pilota. V’era il nostromo che incurava la ciurma; erano sparvierate a remi, come galere. Da prima ne vedemmo due o tre, poi ne apparvero un seicento, che presero il largo ed appiccarono battaglia. Molte cozzavano con le prore fra loro, e molte a quell’urto affondavano: alcune s’appiccavano strettamente l’una all’altra e combattevano, e non si volevano staccare. Quelli schierati sulle prore mostravano un gran valore, saltando d’una in un’altra ed uccidendo, chè non si facevan prigioni. Invece di uncini e mani di ferro gettavano grandi polipi appiccati insieme, i quali abbrancavano gli alberi della boscaglia, e tenevano l’isola. Si ferivano scagliandosi ostriche ognuna quanto un carro, e spugne di un mezzo iugero. Una flotta era capitanata da Eolocentauro, un’altra da Bevimare: erano venute a battaglia per cagione di certa preda, come credo; perchè Bevimare aveva rubate ad Eolocentauro molte greggie di delfini: così io potetti udire mentre combattendo si oltraggiavano tra loro, e gridavano i nomi de’ loro re. Infine quei d’Eolocentauro vinsero, affondarono un cencinquanta isole dei nemici, tre ne presero; le rimanenti voltarono la prora e fuggirono. Essi le inseguirono per certo spazio, ma sopravvenuta la sera, tornarono dove s’era combattuto, raccolsero molto bottino, e ripresero molte loro cose perdute, chè anch’essi ebbero affondate non meno di ottanta isole. Per quella battaglia isolana posero un trofeo, appesero al capo della balena una delle isole nemiche.
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