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      Quella notte fecero stazione intorno la balena, alla quale legarono loro gomene: alcune isole stettero lì vicino sull’ancore. Le ancore erano grandi, di vetro, saldissime. Il giorno appresso, fatto un sacrifizio sovra la balena, e sovr’essa sepolti i loro morti, sciolsero lieti, e come cantando vittoria. E questa fu la battaglia dell’isole.
     
     
      LIBRO SECONDO.
     
      Da allora in poi non potendo io sopportare di rimanere più a lungo nella balena, andava mulinando come uscirne. In prima ci venne il pensiero di forare nella parete del fianco destro, e scappare. Ci mettemmo a cavare; ma cava, e cava quasi cinque stadi, era niente: onde smettemmo, e pensammo di bruciare il bosco, e così far morire la balena. Riuscito questo, ci saria facile uscire. Cominciando adunque dalle parti della coda vi mettemmo fuoco, e per sette giorni ed altrettante notti non sentì bruciarsi; nell’ottavo ci accorgemmo che si risentiva, chè più lentamente apriva la bocca, e come l’apriva la richiudeva. Nel decimo e nell’undecimo era quasi incadaverita, e già puzzava. Nel dodicesimo appena noi pensammo che se in un’apertura di bocca non le fossero puntellati i denti mascellari da non farglieli più chiudere, noi correremmo pericolo di morir chiusi dentro la balena morta: onde puntellata la bocca con grandi travi, preparammo la nave, vi riponemmo molta provvisione d’acqua, e destinammo Scintaro a far da pilota. Il giorno appresso era già morta: noi varammo la nave, e tiratala per l’intervallo dei denti, e ad essi sospesala dolcemente la calammo nel mare.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Scintaro