Qual è l’odore che viene da rose, da narcisi, da giacinti, da gigli, da viole, e dal mirto ancora, dal lauro, e dal fior della vite, tale era la soavità che a noi veniva. Dilettati da questo odore, e sperando un po’ di bene dopo sì lunghi travagli, più e più ci facemmo vicini all’isola, dove scorgemmo per tutto parecchi porti tranquilli e capaci, fiumi di pura acqua che placidamente mettevano in mare, e prati, e selve, e uccelli che cantavano quali sul lido, quali su pei rami degli alberi. Un aere puro e vivo era diffuso su quel paese: aurette piacevoli spirando movevano leggermente il bosco: onde dai rami commossi uscia dilettosa e continua una melodia, come suono di flauto in una parte deserta. E s’udiva un indistinto di molte voci, non tumultuose, ma quali uscirebbero di un banchetto, dove altri suona, altri canta, altri applaude al suono del flauto e della cetera. Tra tutte queste dolcezze approdiamo in un porto, e fermata la nave, discendiamo, lasciando Scintaro e due altri compagni. Avanzandoci per un prato fiorito, scontrammo le guardie, le quali legatici con ghirlande di rose, che è il legame più duro per loro, ci menarono alla signoria: ed esse per via ci dissero che quella era l’isola de’ Beati, e n’era signore il cretese Radamanto. Condotti innanzi a costui, fummo giudicati dopo tre altre cause. La prima causa fu d’Aiace Telamonio, se egli debba star con gli eroi, o no: lo accusavano che era andato in furore e s’era ucciso: infine essendosi molto parlato e pel sì e pel no, sentenziò Radamanto: Per ora beva l’elleboro, e sia dato in mano al medico Ippocrate di Coo; dipoi quando avrà rimesso senno, avrà parte nel banchetto.
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