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      Molti, come si diceva, si erano pure spinti a seguitare chi ci veniva, ma poi per pigrizia s’erano rimasti indietro, per non capire affatto, e s’erano tornati a mezza via. E questi fra tutti sono i più degni di memoria: in più onore era tenuto Achille, e dopo di lui Teseo.
      Nei piaceri di Venere v’è gran larghezza: si mescolano allo scoperto, a vista di tutti, con femmine e con maschi, e non pare loro affatto vergogna: solo Socrate giurava che ei non faceva un mal pensiero quando s’accostava ai garzoni, ma tutti tenevano che egli spergiurasse; chè spesso Jacinto e Narciso confessavano, ed ei sempre no. Le femmine sono comuni a tutti, nessuno è geloso di un altro, ed in questo sono platonicissimi: i fanciulli si prestano a chi vuole, senza ripugnanza.
      Non erano scorsi un due o tre giorni, ed io avvicinatomi al poeta Omero, essendo ambedue scioperati, chiacchierai di molte cose, e gli dimandai donde era, dicendogli che di questo sino al giorno d’oggi si fa un gran quistionare tra noi. Ed ei risposemi che sapeva come alcuni lo fanno di Chio, altri di Smirne, e molti di Colofone, ma egli era di Babilonia, e dai suoi cittadini non chiamato Omero, ma Tigrane; e che poi venuto in Grecia con altri ostaggi, qui chiamati omeri, aveva cangiato il nome. Lo dimandai ancora di certi versi riprovati, se erano stati scritti da lui: ed ei mi disse che tutti erano suoi; onde io mandai un canchero a Zenodoto ed Aristarco grammatici che cercano il pelo nell’uovo. E questo verso? Sì. E quest’altro?


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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